E’ possibile bruciare sterpaglie per fare pulizia? A certe condizioni sì, ma occhio…

CASSINO. Bruciare residui vegetali in genere, ad esempio toppie, ramaglie e avanzi di potature, è una pratica agricola molto diffusa, in quanto per molti anni si è trattato di un’attività lecita. Alla luce dei più recenti interventi normativi, tuttavia, è necessario adottare particolari cautele in quanto si rischia di incorrere in sanzioni civili, ma anche penali.

Il proprietario di un fondo le cui immissioni di fumo nel fondo vicino superino la normale tollerabilità, potrebbe essere la “miccia” per una causa civile di risarcimento danni, anche se l’episodio è singolo o sporadico.

Il legislatore è poi intervenuto non solo per limitare il rischio incendi, ma soprattutto per quanto riguarda la qualificazione dei residui provenienti dalle attività di disboscamento, potatura, raccolta, pulizia di boschi, campi, ecc.: infatti, se questi vengono qualificati come “rifiuti”, si richiede uno smaltimento conforme alle apposite procedure previste a seconda che siano classificati urbani o speciali o in base alla loro natura.

Ancora, il cosiddetto decreto “Terra dei Fuochi”, al fine di reprimere le vicende criminose e dannose per l’ambiente che hanno messo in luce la situazione in Campania, ha introdotto il nuovo reato di “Combustione illecita di rifiuti”.
Il reato, nella sua ipotesi base, punisce con la reclusione da due a cinque anni chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate.

Se ad essere bruciati illecitamente sono rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, come giardini, parchi e aree cimiteriali, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal Codice dell’Ambiente per l’abbandono di rifiuti (sanzione da 300 euro a 3.000 euro).

Il decreto legislativo ndownload (3). 205/2010 ha stabilito che paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso se non utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, vadano considerati e trattati come rifiuti.

Alla luce del quadro normativo, la giurisprudenza  ha ritenuto che la combustione degli sfalci e dei residui da potatura, ove non abbia determinato un danno per l’ambiente o messo in pericolo la salute umana, rientri nella normale pratica agricola.

Il contrasto in materia, tra Stato e legislazioni regionali che hanno spesso autorizzato l’antica pratica agricola di cui si è parlato, ha modificato nuovamente il Codice dell’ambiente prevedendo che attività di raggruppamento e bruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere, non superiori a tre metri steri per ettaro, dei materiali vegetali  non è attività di gestione dei rifiuti”.

Al tempo stesso, il legislatore statale ha vietato la combustione di residui vegetali agricoli “nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni”, attribuendo ai comuni e alle altre amministrazioni competenti in materia ambientale “la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)”.

E’ sostanzialmente riconosciuta la differenza tra le attività di gestione dei rifiuti e le consuetudinarie pratiche agricole di gestione sul luogo di produzione di piccoli quantitativi di scarti vegetali, una distinzione confermata dalla giurisprudenza che si è espressa a favore della liceità dell’attività di combustione di sterpaglie in piccoli cumuli.

In sostanza, bruciare residui vegetali è consentito, ma sempre consultando la normativa regionale, a cui è affidata la possibilità di controllare che ciò avvenga senza il minimo rischio di arrecare danno all’ambiente e alle persone.

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