Libri- “Un giorno ideale per i pescibanana”, le poesie direttamente dalla guerra. Cosa significheranno?
di Martina Salvatore
TITOLO: Un giorno ideale per i pescibanana
AUTORE: J. D. Salinger
Quella di cui vogliamo parlarvi oggi è la storia di una famiglia, apparsa per la prima volta nel gennaio del ‘48 sul New Yorker ad opera di un trentenne J. D. Salinger. Un giorno ideale per i pescibanana è il racconto delle vicissitudini dei coniugi Lea e Bessie Glass, famosi musicisti, e dei loro figli prodigio dotati di grande intelligenza e acume fuori dal comune.
Seymour, il primo di sette pargoli, risulta essere per tutti i suoi fratelli una sorta di guida spirituale e mentore culturale: sin da bambino infatti non solo parla correttamente diverse lingue ma conosce ed ama molto le opere di Distoevskij.
Agli ultimi due ragazzi Frances e Zachary Salinger dedicherà un racconto Franny e Zooey.
Seymour però combatte la seconda guerra mondiale, il suo viaggio in Europa è devastante. Al suo ritorno porta con se dalla Germania un libro di poesie in tedesco… cosa rappresentino queste poesie lo scoprirete solo leggendo!
Seymour ha una moglie, Muriel, che se per superficialità o per desiderio di fuggire dal terrore di quello che la guerra ha fatto al suo Seymur cerca di non vedere ciò che nel corso del racconto pare annunciato.
La critica ha affermato che la guerra è presente in tutte le opere di Salinger, seppur non palesemente.
“Nell’albergo c’erano novantasette agenti pubblicitari di New York e tenevano le linee interurbane talmente monopolizzate che la ragazza del 507 dovette attendere la sua chiamata fin quasi alle due e mezzo. Ma non rimase con le mani in mano. Lesse in una rivista femminile un articolo intitolato Il sesso: paradiso…o inferno. Lavò il pettine e la spazzola. Tolse la macchia dalla gonna del tailleur nocciola. Spostò il bottone sulla camicetta di Saks. Strappò due peli da poco spuntati alla superficie del neo. Quando finalmente la centralinista fece il numero della sua stanza, se ne stava seduta nel vano della finestra e aveva quasi finito di laccarsi le unghie della mano sinistra. Era il tipo di ragazza che non pianta le cose a metà – qualsiasi cosa -per un campanello. Non cambiò espressione, come se quel telefono fosse abituata a sentirlo suonare ininterrottamente fin dalla pubertà. Mentre gli squilli continuavano, passò il pennellino sull’unghia del mignolo, accentuando la curva della lunetta. Poi rimise il tappo al flacone di lacca e, alzandosi, agitò avanti e indietro la mano bagnata, la sinistra. Con quella asciutta raccolse dal sedile nel vano della finestra un portacenere congestionato e se lo portò fino al tavolino da notte, su cui era posato l’apparecchio. Sedette su uno dei due letti gemelli, fatti entrambi, e a questo punto – era il quinto o sesto squillò- alzò il ricevitore”.