Libri- Letteratura e memoria: un’arma contro la violenza
di Martina Salvatore
Ogni 27 gennaio (giorno in cui venne liberato il campo di Aushwitz) ricordiamo i terribili avvenimenti legati allo sterminio sistematico di milioni di ebrei. La letteratura ed il mondo delle arti, in oltre 70 anni, hanno sentito il bisogno di trattare l’argomento, facendolo in modo oggettivo in ambito di saggistica e documentaristica, ma anche attraverso la fiction. Trattare della Shoah è quasi fisiologico per chi sulla propria pelle ha subito l’immane orrore omicida, chi invece scrive della Shoah pur non avendola vissuta lo fa spinto da un grande senso del dovere.
E’ difficile proporvi una sola lettura, scegliere tra la vasta declinazione emozionale degli autori: la giovanissima Anna Frank, prigioniera della paura nella sua piccola soffitta dalla quale guardava il mondo nonostante fosse pena di inquietudine conservava sempre speranza e fiducia nell’umanità.
Primo Levi racconta in modo diretto e senza filtri la crudeltà umana, maledicendo chi volgerà lo sguardo da tali nefandezze:
[…]”Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore,
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca
i vostri nati torcano il viso da voi.”
Anna Frank raccontava a Kitty, il suo diario, i suoi timori e le brutture incombenti sul suo destino. La donna di cui vogliamo parlarvi oggi è l’autrice di un Diario e di alcune Lettere scritti tra il ’41 ed il ’43. Etty Hillesum fa della scrittura il suo scudo, la sua calda e confortevole coperta. Poteva fuggire ma decise di restare, di confortare e documentare cosa avveniva dietro il filo spinato del campo di concentramento.
Come la piccola Anna, anche Etty è ebrea e si trova ad Amsterdam, vive vede e racconta lo sterminio con lo sguardo di una donna già adulta, infatti comincia a scrivere il suo diario all’età di 27 anni e non 15. Con animo appassionato, inquieto ed una personalità debole incline al disagio emotivo frequenta delle sedute di uno psicanalista junghiano del quale diverrà prima segretaria e poi amante.
A causa dell’invasione nazista è costretta a lasciare l’università ma decide di non scappare seppur conscia che le restrizioni imposte non son altro che il preludio allo sterminio.
La tragedia a cui pian pano va incontro le fa riscoprire la fede e le sacre scritture, decide di restare accanto al suo popolo e diventare testimone dell’orrore: inizia con l’essere dattilografa per una sezione del Consiglio Ebraico (organo istituito dai nazisti nel ghetto) e poi decide, pur sapendo che da lì non tornerà, di entrare nel campo di Westerbork come assistente sociale. E’ dal campo che scrive le sue lettere, nelle quale non solo racconta e descrive la vita da internati ma esprime ancora tutto l’amore per la vita e la fiducia nel genere umano che è ancora capace di provare in mezzo a tanto dolore.
Etty, in una di queste lettere afferma di voler essere “il cuore pensante di tutto il campo di concentramento”. Nel campo di sterminio Etty decide di incarnare la pietà, di non odiare neanche i nazisti li guarda con gli occhi ricchi di pena, conscia dell’assenza d’umanità che li anima. Per Etty non conta quanto si vive, ma come lo si fa.
La donna che ha portato la compassione nel cuore del campo di sterminio resta coerente a stesse fino all’ultimo: lascia Westerbork nel settembre del ’43, viene caricata su un treno merci e portata ad Aushwitz dove morirà due mesi dopo insieme a tutta la sua famiglia. Lascia un grande insegnamento: si può continuare ad amare anche se circondati dall’odio e dall’orrore omicida e si può andare a morire cantando perché consapevoli di aver vissuto e lasciato al mondo una grande dignità umana. Anche nel bel mezzo della barbarie nazista.
“Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo”.