Libri- A 200 anni dalla sa pubblicazione il “Frankenstein” di Mary Shelley non perde fascino

di Martina Salavatore

TITOLO: Frankenstein or the Modern Prometeus

AUTORE: Mary Shelley

GENERE: Romanzo gotico

Nel 2018 cade un importantissimo compleanno: il bicentenario della nascita di Frankenstein.

Ed è proprio con lui e con la sua autrice che vogliamo aprire la rubrica del nuovo anno.

Frankenstein or the Modern Prometeus (l’allusione a Prometeo vuole sottolineare l’ambizione degli scienziati di poter fare qualsiasi cosa avvalendosi della sola scienza e tecnica) nasce da una sfida lanciata dal sommo Lord Byron durante l’estate del 1816 quando i coniugi Shelley erano suoi ospiti sul lago di Ginevra. Il 1816 fu definito l’anno senza estate, le continue piogge costrinsero gli ospiti di Lord Byron a restare in casa ed a trascorrere le giornate disquisendo di letteratura e progresso, per combattere la noia l’autore del Don Juan sfidò i suoi ospiti alla stesura di un racconto del terrore. L’incontro tra galvinismo (in fisiologia la contrazione di un muscolo mediante impulso elettrico) e l’arte della parola produsse quello che è il padre di tutti romanzi gotici e del terrore. S

i tratta di un’opera in forma epistolare, l’espediente della forma epistolare per aumentare il pathos viene direttamente da Richardson e dalla sua Pamela.

La storia della Creatura del Dottor Frankenstein viene raccontata attraverso le lettere del capitano Robert Walton alla sorella Margareth. Il capitano ha raggiunto il polo e vuole circumnavigare il globo ma si imbatte in una figura mostruosa ed in un uomo che dopo essere stato rifocillato si presenta come il Dr Viktor Frankenstein, il quale racconta la sua storia sin dalla sua nascita a Napoli, del suo amore per Elisabeth, dei suoi studi scientifici e del suo sogno di creare l’essere umano perfetto più intelligente sano e forte dei normali uomini. Così spiega come di notte si introducesse nei cimiteri per dissotterrare i cadaveri per studiare la decomposizione dei corpi e reperire materiale organico per la creazione della sua creatura.

Il Dr Frankenstein riesce a dar vita alla sua creatura ma sin da subito ne resta inorridito per le sue sembianze mostruose e dalla sua forza disumana. Sentitosi tradito il mostro creato da Frankenstein fugge portando con se il diario del suo creatore e seminando terrore e morte. Anche quando tenterà di integrarsi il suo aspetto e la superficialità umana causeranno alla creatura molto dolore cosa che contribuirà alla crescita dei disturbi affettivi e della cattiveria della povera creatura.

Quello che Mary Shelley racconta non è solo la terrificante storia di un mostro creato dalla scienza, è manifestazione di quanto l’ignoto ed il progresso possano spaventare ma anche di quanto la superficialità degli uomini faccia più paura di un mostruoso aspetto.

Artattoo Cassino

[…]”Fu in una tetra notte di novembre che vidi il compimento delle mie fatiche. Con un’ansia simile all’angoscia radunai gli strumenti con i quali avrei trasmesso la scintilla della vita alla cosa inanimata che giaceva ai miei piedi. Era già l’una del mattino; la pioggia batteva lugubre contro i vetri, la candela era quasi consumata quando, tra i bagliori della luce morente, la mia creatura aprì gli occhi, opachi e giallastri, trasse un respiro faticoso e un moto convulso ne agitò le membra.

 

Come posso descrivere la mia emozione a quella catastrofe, descrivere l’essere miserevole cui avevo dato forma con tanta cura e tanta pena? Il corpo era proporzionato e avevo modellato le sue fattezze pensando al sublime. Sublime? Gran Dio! La pelle gialla a stento copriva l’intreccio dei muscoli e delle vene; i capelli folti erano di un nero lucente e i denti di un candore perlaceo; ma queste bellezze rendevano ancor più orrido il contrasto con gli occhi acquosi, grigiognoli come le orbite in cui affondavano, il colorito terreo, le labbra nere e tirate.

La vita non offre avvenimenti tanto mutevoli quanto lo sono i sentimenti dell’uomo. Avevo lavorato duramente per quasi due anni al solo scopo di infondere la vita a un corpo inanimato. Per questo avevo rinunciato al riposo e alla salute. L’avevo desiderato con intensità smodata, ma ora che avevo raggiunto la meta il fascino del sogno svaniva, orrore e disgusto infiniti mi riempivano il cuore. Incapace di sostenere la vista dell’essere che avevo creato, fuggii dal laboratorio e a lungo camminai avanti e indietro nella mia camera da letto, senza riuscire a dormire. Alla fine lo spossamento subentrò al tumulto iniziale e mi gettai vestito sul letto, cercando qualche momento di oblio. Invano! Dormii, è vero, ma agitato dai sogni più strani. Mi sembrava di vedere Elizabeth, nel fiore della salute, per le strade di Ingolstadt.

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Sorpreso e gioioso, l’abbracciavo; ma come imprimevo il primo bacio sulle sue labbra queste si facevano livide, color di morte; i suoi tratti si trasformavano e avevo l’impressione di stringere tra le braccia il cadavere di mia madre, avvolto nel sudario. I vermi brulicavano tra le pieghe del tessuto. Mi risvegliai trasalendo d’orrore; un sudore freddo mi imperlava la fronte, battevo i denti e le membra erano in preda a un tremito convulso quando – al chiarore velato della luna che si insinuava attraverso le persiane chiuse – scorsi la miserabile creatura, il mostro da me creato. Teneva sollevate le cortine del letto e i suoi occhi, se di occhi si può parlare, erano fissi su di me. Aprì le mascelle emettendo dei suoni inarticolati mentre un sogghigno gli raggrinziva le guance. Forse aveva parlato, ma non udii; aveva allungato una mano, come per trattenermi, ma gli sfuggii precipitandomi giù per le scale. Mi rifugiai nel cortile della casa e vi passai il resto della notte, continuando a percorrerlo, agitatissimo, e tendendo l’orecchio a ogni rumore che annunciasse l’arrivo del diabolico cadavere al quale avevo sciaguratamente dato vita”.

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