Economia, l’ing. Mentella si appella all’amministrazione: «Aprire un tavolo dedicato per la crescita delle start up»

di Simone Tescione

CASSINO. Cassino Informa entra nel mondo delle start up intervistando l’ing. Alessia Mentella, startupper grazie a Vesta e Progemec, conoscitrice dell’ecosistema imprenditoriale e membro del comitato tecnico “Start up e promozione dell’imprenditoria giovanile di Unindustria”.

1) Ingegner Mentella, una startupper come definirebbe una start up?

«Un crogiolo di talenti appassionati, abituati all’impegno, alla perseveranza ed anche al fallimento, in grado di generare idee innovative, che creano un mercato e che hanno la capacità di attrarre investimenti e capitali».

2) In che termini la start up è diversa dall’impresa tradizionale?

«La startup in genere produce un’idea dirompente in grado di creare un mercato laddove si pensava non potesse esistere. Spesso la differenza è proprio in questo termine, CREARE; l’impresa tradizionale (non innovativa) intercetta un’opportunità di mercato già esistente e si accoda al trend, OFFRE un prodotto o un servizio a seguito di una domanda di un mercato ancora capiente»d6c51c5d-023a-45f2-b5ae-41dfb1096d27

3) A cosa sono legate le difficoltà di una start up innovativa nel panorama odierno? 

«L’elenco è lungo. La vita dello startupper non è sempre facile: richiede impegno oltremisura e spesso pagando il prezzo di alcune rinunce e compromessi che hanno a che fare con la sfera privata. Al di là di questo, credo che i rischi maggiori siano legati, nell’ordine, ai seguenti aspetti: a) Possibilità di perdere di vista l’obiettivo e la visione iniziale; b) Mancanza di flessibilità, elasticità e rapidità nel cogliere cambiamenti ed opportunità; c) Abbassamento dell’entusiasmo e della motivazione del team nel corso del progetto e, soprattutto, durante le difficoltà che inevitabilmente emergono, specie in concomitanza dei primi passi verso il mercato; d) Difficoltà di accesso al credito; e) Mancanza di politiche locali integrate a supporto delle nuove imprenditorialità a carattere innovativo, che, specie nelle fasi iniziali, hanno la necessità fisiologica di destinare la maggior parte dei propri sforzi e delle proprie risorse ad attività di ricerca e sviluppo e non ad attività a più basso valore aggiunto (burocrazia ecc.)».

4) Com’è composto il tessuto di start up del cassinate? Le start up possono rilanciare l’economia del territorio o nel futuro ci sarà sempre il dominio di FCA?

«A fine marzo 2016 quelle iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese erano pari a 5.439; di queste, circa il 10% localizzate nella regione Lazio. Nel cassinate si contano 9 delle 32 imprese innovative ciociare. Nonostante la presenza di diversi distretti industriali e la collocazione geografica favorevole, la ciociaria non è ancora un luogo fertile per la proliferazione dell’innovazione. A Cassino sembrerebbe emergere, comunque, un buon fermento di idee e di innovazione, merito dell’università, sebbene manchino totalmente dal punto di vista politico e strutturale, visione e programmi locali a supporto.

I codici ATECO delle start up del territorio, per rispondere all’altra domanda, dimostrano che c’è molta green economy, ICT, sociale. Segno chiaro del fatto che i giovani startupper di oggi, sono figli della profonda crisi del settore automotive, di una mamma, FIAT, che per essi non ha saputo creare benessere e prosperità, ma incertezza e penuria. I giovani startupper non si fidano di FCA e guardano a nuove opportunità in settori totalmente diversi».

5) Gli effetti della crisi pesano ancora oppure siamo in ripresa? 

«Nonostante si possa registrare una leggera ripresa dell’economia locale, dovuta proprio ad una ripresa del comparto industriale, questa, però, viene percepita ancora poco dai dettaglianti del commercio, perché sono gli ultimi della catena economica e, dunque, gli ultimi a registrarne i benefici. Credo che, purtroppo, gli effetti della crisi pesino ancora profondamente nel pensiero e nell’atteggiamento di chi l’ha subita».

6) Il settore del credito è davvero vicino a questo genere d’impresa?

«La sensazione che si ha quando si guarda al mondo delle startup è che esse si muovano più velocemente rispetto agli altri potenziali first player dell’ambiente in cui agiscono, e che in qualche caso, debbano sviluppare un adattamento creativo alle condizioni al contorno che trovano. Mentre il settore del credito osserva e prova ad organizzarsi in cordate di venture capitalist e fondi di investimento, le startup guardano a metodologie antiche, alla raccolta di capitali e fondi dal basso, dalla folla; è il caso del cosiddetto crowdfunding che secondo diversi report di istituti accreditati offre numeri incoraggianti. E ciò, da un lato è dimostrazione concreta del fatto che le startup sono in grado di provvedere autonomamente a creare le condizioni per la propria sopravvivenza; dall’altra l’assoluta distanza del mondo del credito delle startup innovative, le cui attività, nei primi anni di vita, sono maggiormente orientate alla Ricerca e Sviluppo e poco alle vendite. Sono pochi i casi come quello della BPC che con il programma “Prima Idea” favorisce in maniera concreta l’accesso al credito alle startup a forte contenuto innovativo».

7) Le istituzioni invece?

«La sensazione è che abbiano capito che fare startup non è una moda ma, appunto, un’opportunità concreta di rispondere in modo intelligente e creativo ad una crisi. Nella nostra regione, ad esempio, Lazio Innova è molto attiva in questo senso e di recente ha colto l’opportunità di lavorare in sinergia con il mondo dell’imprenditoria “senior”, stringendo un accordo di collaborazione con Unindustria, volto proprio a favorire dei processi di scale up e crescita delle startup innovative della nostra regione. Diversamente, le istituzioni locali, sembrano essere totalmente impermeabili ai bisogni delle start up. È mancato totalmente l’interesse da parte dell’Amministrazione locale a comprendere ed intercettare questo fenomeno, affinché potesse diventare una opportunità territoriale; non solo sono mancati l’interesse e l’intuizione di supportare gli startupper locali, ma, ancor più grave, l’ambizione ad attrarre, trattenere ed innestare sul territorio le idee di tanti giovani che frequentano, per motivi di studio, la nostra città».

8) Se potesse chiedere all’amministrazione D’Alessandro un qualcosa che possa favorire le start up nella loro crescita, cosa domanderebbe?

«Beh, la lista è lunga! Chiederei prima di tutto una presa di coscienza dell’ecosistema startup attraverso un tavolo tecnico che possa far incontrare le diverse anime del mondo economico: gli startupper in primo luogo e poi gli esperti di crowdfunding, le banche più virtuose e vicine a questo mondo, i fondi d’investimento, gli industriali ed i docenti che dell’innovazione fanno la propria missione, e che produca un risultato tangibile in tempi rapidi, una visione ed una programmazione di medio/lungo periodo che abbia come obiettivo quello di favorire la spinta innovativa del nostro territorio e di attrarre quella dei territori limitrofi, mettendo a disposizione infrastrutture e risorse. Concretamente intendo, consulenti che sappiano individuare, scrivere e presentare domande per bandi pubblici, che abbiano relazioni con incubatori certificati e con investitori qualificati, che possano aiutare a creare il mercato o il socio ideale che manca per costituire quel team multidisciplinare che rende più vicina la garanzia di successo dell’impresa. A seguire, chiederei l’istituzione di un osservatorio permanente che sappia monitorare le evoluzioni rapidissime di questo mondo e rispondere con altrettanta velocità e concretezza. Naturalmente sono a disposizione, nel caso qualcuno dei nostri amministratori condividesse le mie istanze e fosse intenzionato a perseguirle».

9) Il sistema universitario è consonante rispetto alle esigenze del mondo del lavoro?

«Per la mia esperienza personale, direi di si. Il mondo degli accademici è sceso dalle cattedre ed insieme agli studenti più brillanti crea spin off innovativi. Hanno capito anche loro che dalle crisi nascono le opportunità e nel momento in cui i finanziamenti pubblici alla ricerca hanno cominciato a scarseggiare, si sono mossi cercando di finanziare i programmi di ricerca con iniziative private. Dal punto di vista personale ed a difesa della qualità della didattica e dell’offerta formativa, in generale, del nostro Ateneo, posso dire che ancora oggi, con le mie imprese, di tanto in tanto torno all’Università, per affrontare e risolvere problematiche di tipo più complesso, cui una startup o anche una piccola impresa innovativa, non riesce a far fronte con sistematicità».

10) Consigli da dare a chi intenda metter su una start up?

«Preferisco fornirli come fosse una sorta di vademecum:

  1. a) Avere una visione ma confrontarla con la possibilità di realizzarla efficacemente;
  2. b) Essere tenaci, resilienti e flessibili allo stesso tempo;
  3. c) Confrontarsi con apertura e curiosità e mettersi in discussione;
  4. d) Dotarsi di collaboratori e soci con attitudini e competenze diverse dalle proprie;
  5. e) Essere convinti del proprio progetto, è la leva per convincere gli altri!
  6. f) Metterci la faccia, sempre… e a volte non solo quella».
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