“Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese: un’insolita lettura per la vigilia di Natale
di Martina Salvatore
TITOLO: Dialoghi con Leucò
AUTORE: Cesare Pavese
Siamo alla vigilia di Natale, ma dopo l’ultima proposta prettamente natalizia, vogliamo spostare l’inquadratura e tuffarci nel mondo della mitologia classica presentataci dalla lente d’ingrandimento di Cesare Pavese, autore del famosissimo La luna e i falò.
Solitamente si pensa a Pavese come uno scrittore realista intento a dipingere paesaggi descrittivi, invece in questo caso si abbandona al racconto, in forma dialogica, del mito e di quel legame intimo e viscerale che in altre sue opere risulta coperto da simbolismi e riferimenti allegorici.
Dialoghi con Leucò (troncamento di Leucotea, la dea bianca ma anche traduzione greca di bianco) narra della misteriosa protagonista femminile, probabilmente Bianca Garufi (da qui la scelta di Leucotea) un amore giovanile del Pavese, dei 26 dialoghi in cui si ricerca il senso segreto dei miti greci riletti in chiave psicanalitica ma anche romantica.
Si incontrano i personaggi del mondo classico privi di ogni alone eroico e mostrati sotto una luce più umana: da Tiresia ad Odisseo, Edipo e Eros, Tanatos fino ad Achille e Patroclo, rianalizzando quelle storie che tutti ricordiamo dagli studi scolastici. Si affrontano le più disparate tematiche: il destino, il ricordo, il rimpianto, la dicotomia uomo-natura, il dolore, l’ingombrante presenza della sessualità legata strettamente alla visione della morte (La belva, L’inconsolabile Schiuma d’onda), l’approccio con cui ci si accosta all’argomento della morte è quello della libertà in contrapposizione al destino segnato dell’uomo ed alla sua triste condizione (tre anni dopo la pubblicazione dei Dialoghi, Pavese porrà fine alla sua vita lasciando sul comodino di un hotel di Torino il testo dei suoi Dialoghi ed un biglietto d’addio), altro tema è l’irrazionalità e la presa di coscienza di se’, ma anche l’angoscioso argomento principe dell’esistenzialismo pavesiano cioè la nostalgia per l’infanzia (I due e La madre) infine l’eterna lotta tra umano e divino e il costante ed irrazionale desiderio dell’uno di raggiungere l’altro, parallelamente però Pavese mostra come la paura del divino determini le azioni umane e come invece bastasse liberarsi della paura degli dei per far sparire anche loro. Tutte le tematiche proposte vengono sviscerate nei brevi dialoghi ambientati una Grecia a metà tra classicismo e modernità, un mondo in balia di un vorticoso e costante mutamento.
Pavese scrive i Dialoghi nel 1946 e li pubblica nel ’47 in un epoca di ricostruzione e di passioni ritrovate ma figlie del dolore della guerra. Un’opera dal dolore tutto novecentesco ma dalla statuaria bellezza della classicità che fa parlare dei, eroi e Titani del male di vivere degli uomini comuni e contemporanei.
La grande eleganza dello stile affascinate e pulito di Pavese ha prodotto una perla nella letteratura italiana, un’elegia antica e contemporanea dalla grande potenza semantica ed emotiva, leggere i Dialoghi con Leucò è come ritrovarsi sotto un impalpabile sortilegio.
Vi proponiamo un estratto da Le Streghe in cui si confrontano Circe e Leucotea:
“[…]Circe. Credimi, Leucò, lì per lì non capii. Succede a volte di sbagliare la formula, succede un’amnesia. Eppure l’avevo toccato. La verità è che l’aspettavo da tanto tempo che non ci pensavo più. Appena capii tutto -lui aveva fatto un balzo e messo mano alla spada- mi venne da sorridere -tanta fu la contentezza e insieme la delusione. Pensai perfino di poterne fare a meno, di sfuggire alla sorte. “Dopotutto è Odisseo” pensai, “uno che vuol tornare a casa.” Pensavo già d’imbarcarlo. Cara Leucò. Lui dimenava quella spada -ridicolo e bravo come solo un uomo sa essere- e io dovevo sorridere e squadrarlo come faccio con loro, e stupirmi e scostarmi. Mi sentivo come una ragazza , come quando eravamo ragazze e ci dicevamo che cosa avremmo fatto da grandi e noi giù a ridere. Tutto si svolse come un ballo. Lui mi prese per i polsi, alzò la voce, io divenni di tutti i colori -però ero pallida, Leucò- gli abbracciai le ginocchia e cominciai la mia battuta: “Chi sei tu? da quale terra generato…” Poveretto, pensavo, lui non sa quel che gli tocca. Era grande, ricciuto, un bell’uomo, Leucò. Che stupendo maiale, che lupo, avrebbe fatto.
Leucotea. Ma queste cose gliele hai dette, nell’anno che ha passato con te?
Circe. O ragazza, non parlare delle cose del destino con un uomo. Loro credono di aver detto tutto quando l’hanno chiamato la catena di ferro, il decreto fatale. Noi ci chiamano le signore fatali, lo sai.
Leucotea. Non sanno sorridere.
Circe. Sì. Qualcuno di loro sa ridere davanti al destino, sa ridere dopo, ma durante bisogna che faccia sul serio o che muoia. Non sanno scherzare sulle cose divine, non sanno sentirsi recitare come noi. La loro vita è così breve che non possono accettare di far cose già fatte o sapute. Anche lui, l’Odisseo, il coraggioso, se gli dicevo una parola in questo senso, smetteva di capirmi e pensava a Penelope.
Leucotea. Che noia.
Circe. Sì ma vedi, io lo capisco. Con Penelope non doveva sorridere, con lei tutto, anche il pasto quotidiano, era serio e inedito -potevano prepararsi alla morte. Tu non sai quanto la morte li attiri. Morire è sì un destino per loro, una ripetizione, una cosa saputa, ma s’illudono che cambi qualcosa.
Leucotea. Perché allora non volle diventare un maiale?
Circe. Ah Leucò, non volle nemmeno diventare un dio, e sai quanto Calipso lo pregasse, quella sciocca. Odisseo era così, né maiale né dio, un uomo solo, estremamente intelligente, e bravo davanti al destino.
Leucotea. Dimmi, cara, ti è molto piaciuto con lui?
Circe. Penso una cosa, Leucò. Nessuna di noi dee ha mai voluto farsi mortale, nessuna l’ha mai desiderato. Eppure qui sarebbe il nuovo, che spezzerebbe la catena.
Leucotea. Tu vorresti?”
Circe avrebbe rinunciato alla sua natura divina per Ulisse?
Buon Natale